C’era
una volta un sofista.
Dotato
di immensa cultura e vivace intelligenza, sapeva piegare ogni parola al suo volere. Chi lo ascoltava non poteva
fare altro che restarne incantato e convincersi di aver appreso da lui la vera
verità o, quantomeno, la giusta versione dei fatti. Qualunque cosa egli
sostenesse nei suoi accalorati discorsi e qualunque cosa uno pensasse prima,
alla fine era lui a stabilire cosa fosse giusto o sbagliato, vero o falso. Era
lui a cancellare ogni dubbio.
Un
uomo così avrebbe dovuto stare ai vertici della società civile ed essere
considerato un padre spirituale della
patria. Un sicuro riferimento per tutti.
Lui,
al contrario, era antipatico ai più. Viveva emarginato e veniva guardato con
paura e sospetto. Perché?
Perché
era un sofista.
Sprecava
la sua dote in virtuosismi dialettici fini a sé stessi. Era esibizionista e
esteta del verbo fino alla nausea. Non voleva affaticarsi nel lodevole quanto
arduo tentativo di migliorare il mondo con la sua intelligenza. La usava,
purtroppo, per il suo esclusivo piacere. Ne faceva il suo giocattolo preferito,
rendendola sterile. Gli intellettuali lo criticavano per questo e, al tempo
stesso, lo temevano. Avevano paura di non reggere il confronto, di cadere nelle
sue trappole e fare pessime figure. Il popolo diffidava di lui. Anch’esso aveva
paura. Sapeva di essere facilmente manipolabile e ingannato.
Perché
il sofista si comportava così?
Perché
egli era il più cinico dei pessimisti. L’unico che aveva il coraggio di guardare
il mondo per quello che era. Il solo che riusciva a non inorridire di
fronte alla tragica scoperta della
mancanza di senso. Egli ne rideva. Sbeffeggiava, lui condannato a morte, il
plotone d’esecuzione che aveva di fronte. La sua freddezza non poteva che
sbalordire e confondere sia i suoi aguzzini che i suoi compagni di sventura. La
sua assoluta mancanza di qualsiasi tipo di fede, la sua invincibile certezza
dell’inutilità di tutto ciò che la sua mente poteva percepire come realtà, lo
anestetizzava dal mondo e il mondo non poteva che invidiarlo fino ad odiarlo.
Per
questo viveva solo e distante dagli altri.
Come
gli ebrei del medioevo, ci si ricordava di lui solo quando si aveva un
particolare bisogno. I Giudei ti potevano sempre dare soldi. Il sofista
riusciva sempre a dimostrare che avevi ragione. Anche quando avevi torto.
Tutti
pensavano che il sofista non lavorasse. Che la sua apatia e il disinteresse per
il mondo reale non glielo permettessero. Nessuno sapeva che il sofista un
lavoro ce l’aveva ed era anche molto importante. Oltre che segreto.
Il
sofista scriveva i discorsi del capo del governo. E quelli del capo
dell’opposizione.
Se
si fosse dato la pena di esercitare la professione di avvocato sarebbe stato
capace di convincere la giuria a condannare l’imputato in assise per poi farlo
assolvere in appello.
Il
sofista era odiato perché senza morale, senza scrupoli. Proprio come avrebbero
voluto essere coloro che lo odiavano.
Un
giorno tutto cambiò.
Gli
alieni rapirono i capi delle maggiori religioni praticate nel mondo.
Per
molti giorni non si seppe più nulla di loro.
Quando
ricomparvero fecero una dichiarazione congiunta all’umanità.
Dissero
che gli alieni li avevano portati in contatto diretto con il Vero Dio.
Che
il Vero Dio aveva comunicato con loro. Che non potevano rivelare l’esatto
contenuto del messaggio divino, ma che, in seguito a questo, avevano
unanimemente deciso di dichiarare decaduta ogni religione.
I
credenti di tutto il mondo, dovevano cessare, con effetto immediato, di
credere.
Questa
era la volontà del Vero Dio . Egli aveva ufficialmente informato i loro capi
dell’assoluta mancanza di un senso della vita umana e dell’intero universo. Da
quel momento la parola “speranza” cessava di avere significato.
Gli
uomini di tutto il mondo, compresi gli atei, rimasero molto colpiti da questo
incredibile evento. Solo il sofista se ne compiacque. Lo rattristò solo il
fatto di avere una parola in meno con cui giocare.
In
un primo momento si pensò che l’umanità fosse destinata ad un suicidio
universale, ma non fu così. L’istinto di sopravvivenza ebbe comunque la meglio
e qualcuno si ricordò del sofista. Ancora una volta chiesero il suo aiuto.
Un
uomo capace di far credere a un cieco che era stato fortunato perché, non vedendo
il mondo esterno, poteva meglio concentrarsi per migliorare sé stesso. O
di convincere una madre a cui era morto
un figlio che doveva esserne felice, poiché avevano entrambi goduto il meglio
dal loro rapporto e il destino aveva evitato loro i problemi e le incomprensioni
tra i genitori e i figli adulti. Un uomo così, era l’unico che potesse trovare,
per ciascuno di loro, una scusa talmente credibile per continuare a vivere. In
poco tempo, si sarebbero dimenticati che era soltanto un trucco. Le donne
poterono così continuare a passare intere giornate a pulire la casa. Gli uomini
continuarono a discutere di politica e di calcio.
Gli
uomini e le donne, insieme, continuarono ad amarsi, ad uccidersi, ad andare in
bicicletta in ufficio, a fare la fila al centro commerciale, a parlarsi al
cellulare fin dalle prime ore del mattino, fingendo, all’inizio, e
dimenticandosi infine che, qualsiasi cosa facessero era fine a se stessa.
Convincendosi che non c’era bisogno d’altro.
Gli
unici a soffrire un po’ di questo cambiamento furono i filosofi. Qualcuno di
loro arrivò a togliersi la vita, ma nessuno ne sentì la mancanza.
Se
poi, in un momento di disattenzione o di rilassamento, qualcuno veniva colpito
dalla terribile malattia del dubbio e la sua mente cominciava da sola a
formulare domande, causa di dolorosissime emicranie, c’era il sofista.
Non
potendo più rivolgersi a preti o a maghi cercavano da lui la cura.
Al
sofista non dispiacque che, ora, la gente non lo evitasse più come prima.
Sapeva bene che questa nuova disponibilità nei suoi confronti era interessata,
ma a lui bastava. Con pazienza, riceveva tutti, li faceva parlare e poi,
confezionava per ognuno di loro un diverso progetto di vita nuova, pieno di
falsi scopi, inesistenti motivazioni, artificiali ideali e tutta una seria di
cause senza effetto e viceversa. Ognuno secondo le sue esigenze, la sua
personalità, i suoi bisogni.
Il
sofista si fece sarto di anime perse, per non dire di cause. I clienti erano
contenti. Ogni abito era fatto su misura e faceva fare a chi lo indossava una
gran bella figura.
Un
giorno, gli alieni rapirono anche lui.
Loro
conoscevano da sempre l’atroce verità dell’assoluta mancanza di senso del
Tutto. Non conoscevano il significato di parole come speranza, illusione, fede,
futuro, aldilà e molte altre. Le avevano sentite, per la prima volta,
pronunciate dai capi religiosi che avevano rapito e ne erano rimasti
affascinati.
Dissero
al sofista che la Vera Verità li aveva annoiati. Che il Vero Dio non era per
nulla interessante. Volevano che il sofista si esibisse anche per loro.
Sentivano forte il bisogno di essere ingannati. Il sofista attinse a tutta la
sua straordinaria abilità dialettica, riempiendo la vuota e oggettiva realtà
aliena di pirotecnici dogmi, assiomi, tesi, assunti, testi, algoritmi,
paradossi, parabole, verità, ideali, morali, coscienza, colpe, scopi, motivi,
mali, beni e un’infinita serie di altre contraffazioni.
Confezionò,
con i suoi discorsi scorrevoli e intriganti, un velo con il quale nascondere o,
meglio, vestire la nuda verità.
Il
sofista non tornò mai più dai suoi simili. Gli alieni lo trattennero per
sempre.
Chi
lo aveva conosciuto raccontò la sua storia ai figli e, questi, ai loro figli.
Non sempre fu raccontata la vera versione dei fatti. Il tempo aveva reso tutti
inconsapevoli sofisti. Fu sempre più
difficile ricordarlo per ciò che veramente fu.
Oggi
molti credono che lui sia il Vero Dio e dove sorgevano le Chiese erette sui
resti di Moschee erette sui resti di Sinagoghe, nuovi templi stanno sorgendo.
2 commenti:
Mi sarei goduto un 'Dialogo' tra Socrate ed il Sofista.
Ciao,
Gio
Stu - pe - n - do!!
Posta un commento