martedì 2 giugno 2015

UN SOFISTA


C’era una volta un sofista.
Dotato di immensa cultura e vivace intelligenza, sapeva piegare ogni parola  al suo volere. Chi lo ascoltava non poteva fare altro che restarne incantato e convincersi di aver appreso da lui la vera verità o, quantomeno, la giusta versione dei fatti. Qualunque cosa egli sostenesse nei suoi accalorati discorsi e qualunque cosa uno pensasse prima, alla fine era lui a stabilire cosa fosse giusto o sbagliato, vero o falso. Era lui a cancellare ogni dubbio.
Un uomo così avrebbe dovuto stare ai vertici della società civile ed essere considerato un padre  spirituale della patria. Un sicuro riferimento per tutti.
Lui, al contrario, era antipatico ai più. Viveva emarginato e veniva guardato con paura e sospetto. Perché?
Perché era un sofista.
Sprecava la sua dote in virtuosismi dialettici fini a sé stessi. Era esibizionista e esteta del verbo fino alla nausea. Non voleva affaticarsi nel lodevole quanto arduo tentativo di migliorare il mondo con la sua intelligenza. La usava, purtroppo, per il suo esclusivo piacere. Ne faceva il suo giocattolo preferito, rendendola sterile. Gli intellettuali lo criticavano per questo e, al tempo stesso, lo temevano. Avevano paura di non reggere il confronto, di cadere nelle sue trappole e fare pessime figure. Il popolo diffidava di lui. Anch’esso aveva paura. Sapeva di essere facilmente manipolabile e ingannato.
Perché il sofista si comportava così?
Perché egli era il più cinico dei pessimisti. L’unico che aveva il coraggio di guardare il mondo per quello che era. Il solo che riusciva a non inorridire di fronte  alla tragica scoperta della mancanza di senso. Egli ne rideva. Sbeffeggiava, lui condannato a morte, il plotone d’esecuzione che aveva di fronte. La sua freddezza non poteva che sbalordire e confondere sia i suoi aguzzini che i suoi compagni di sventura. La sua assoluta mancanza di qualsiasi tipo di fede, la sua invincibile certezza dell’inutilità di tutto ciò che la sua mente poteva percepire come realtà, lo anestetizzava dal mondo e il mondo non poteva che invidiarlo fino ad odiarlo.
Per questo viveva solo e distante dagli altri.
Come gli ebrei del medioevo, ci si ricordava di lui solo quando si aveva un particolare bisogno. I Giudei ti potevano sempre dare soldi. Il sofista riusciva sempre a dimostrare che avevi ragione. Anche quando avevi torto.
Tutti pensavano che il sofista non lavorasse. Che la sua apatia e il disinteresse per il mondo reale non glielo permettessero. Nessuno sapeva che il sofista un lavoro ce l’aveva ed era anche molto importante. Oltre che segreto.
Il sofista scriveva i discorsi del capo del governo. E quelli del capo dell’opposizione.
Se si fosse dato la pena di esercitare la professione di avvocato sarebbe stato capace di convincere la giuria a condannare l’imputato in assise per poi farlo assolvere in appello.
Il sofista era odiato perché senza morale, senza scrupoli. Proprio come avrebbero voluto essere coloro che lo odiavano.
Un giorno tutto cambiò.
Gli alieni rapirono i capi delle maggiori religioni praticate nel mondo.
Per molti giorni non si seppe più nulla di loro.
Quando ricomparvero fecero una dichiarazione congiunta all’umanità.
Dissero che gli alieni li avevano portati in contatto diretto con il Vero Dio.
Che il Vero Dio aveva comunicato con loro. Che non potevano rivelare l’esatto contenuto del messaggio divino, ma che, in seguito a questo, avevano unanimemente deciso di dichiarare decaduta ogni religione.
I credenti di tutto il mondo, dovevano cessare, con effetto immediato, di credere.
Questa era la volontà del Vero Dio . Egli aveva ufficialmente informato i loro capi dell’assoluta mancanza di un senso della vita umana e dell’intero universo. Da quel momento la parola “speranza” cessava di avere significato.
Gli uomini di tutto il mondo, compresi gli atei, rimasero molto colpiti da questo incredibile evento. Solo il sofista se ne compiacque. Lo rattristò solo il fatto di avere una parola in meno con cui giocare.
In un primo momento si pensò che l’umanità fosse destinata ad un suicidio universale, ma non fu così. L’istinto di sopravvivenza ebbe comunque la meglio e qualcuno si ricordò del sofista. Ancora una volta chiesero il suo aiuto.
Un uomo capace di far credere a un cieco che era stato fortunato perché, non vedendo il mondo esterno, poteva meglio concentrarsi per migliorare sé stesso. O di  convincere una madre a cui era morto un figlio che doveva esserne felice, poiché avevano entrambi goduto il meglio dal loro rapporto e il destino aveva evitato loro i problemi e le incomprensioni tra i genitori e i figli adulti. Un uomo così, era l’unico che potesse trovare, per ciascuno di loro, una scusa talmente credibile per continuare a vivere. In poco tempo, si sarebbero dimenticati che era soltanto un trucco. Le donne poterono così continuare a passare intere giornate a pulire la casa. Gli uomini continuarono a discutere di politica e di calcio.
Gli uomini e le donne, insieme, continuarono ad amarsi, ad uccidersi, ad andare in bicicletta in ufficio, a fare la fila al centro commerciale, a parlarsi al cellulare fin dalle prime ore del mattino, fingendo, all’inizio, e dimenticandosi infine che, qualsiasi cosa facessero era fine a se stessa. Convincendosi che non c’era bisogno d’altro.
Gli unici a soffrire un po’ di questo cambiamento furono i filosofi. Qualcuno di loro arrivò a togliersi la vita, ma nessuno ne sentì la mancanza.
Se poi, in un momento di disattenzione o di rilassamento, qualcuno veniva colpito dalla terribile malattia del dubbio e la sua mente cominciava da sola a formulare domande, causa di dolorosissime emicranie, c’era il sofista.
Non potendo più rivolgersi a preti o a maghi cercavano da lui la cura.
Al sofista non dispiacque che, ora, la gente non lo evitasse più come prima. Sapeva bene che questa nuova disponibilità nei suoi confronti era interessata, ma a lui bastava. Con pazienza, riceveva tutti, li faceva parlare e poi, confezionava per ognuno di loro un diverso progetto di vita nuova, pieno di falsi scopi, inesistenti motivazioni, artificiali ideali e tutta una seria di cause senza effetto e viceversa. Ognuno secondo le sue esigenze, la sua personalità, i suoi bisogni.
Il sofista si fece sarto di anime perse, per non dire di cause. I clienti erano contenti. Ogni abito era fatto su misura e faceva fare a chi lo indossava una gran bella figura.
Un giorno, gli alieni rapirono anche lui.
Loro conoscevano da sempre l’atroce verità dell’assoluta mancanza di senso del Tutto. Non conoscevano il significato di parole come speranza, illusione, fede, futuro, aldilà e molte altre. Le avevano sentite, per la prima volta, pronunciate dai capi religiosi che avevano rapito e ne erano rimasti affascinati.
Dissero al sofista che la Vera Verità li aveva annoiati. Che il Vero Dio non era per nulla interessante. Volevano che il sofista si esibisse anche per loro. Sentivano forte il bisogno di essere ingannati. Il sofista attinse a tutta la sua straordinaria abilità dialettica, riempiendo la vuota e oggettiva realtà aliena di pirotecnici dogmi, assiomi, tesi, assunti, testi, algoritmi, paradossi, parabole, verità, ideali, morali, coscienza, colpe, scopi, motivi, mali, beni e un’infinita serie di altre contraffazioni.
Confezionò, con i suoi discorsi scorrevoli e intriganti, un velo con il quale nascondere o, meglio, vestire la nuda verità.
Il sofista non tornò mai più dai suoi simili. Gli alieni lo trattennero per sempre.
Chi lo aveva conosciuto raccontò la sua storia ai figli e, questi, ai loro figli. Non sempre fu raccontata la vera versione dei fatti. Il tempo aveva reso tutti inconsapevoli  sofisti. Fu sempre più difficile ricordarlo per ciò che veramente fu.

Oggi molti credono che lui sia il Vero Dio e dove sorgevano le Chiese erette sui resti di Moschee erette sui resti di Sinagoghe, nuovi templi stanno sorgendo.

2 commenti:

Gio ha detto...

Mi sarei goduto un 'Dialogo' tra Socrate ed il Sofista.

Ciao,

Gio

Massimo ha detto...

Stu - pe - n - do!!