Ho visto un uomo, seduto su una
panchina, guardare le auto che gli passavano davanti. Era un uomo normale. Come
tanti. Talmente banale da attirare la mia attenzione. Oggi che tutti vogliono
apparire per quello che non sono, che vogliono farsi notare per distinguersi
dagli altri, la sua ordinarietà me lo faceva apparire nudo, eppure
indecifrabile. Poteva avere 65 anni se li portava male, 75 se li portava bene. La
camicia, il maglione, i pantaloni, le scarpe, l’orologio erano grigi, neri,
marroni. I colori di chi non vuole apparire. Anche la sua faccia e le sue mani mostravano
una pelle grigia e consumata Ma non ancora del tutto in disgrazia. Era piccolo
e magro, come se, per discrezione, non volesse occupare troppo spazio nel
mondo. Ne lasciava il più possibile agli altri. Quelli che sentivano il dovere
di conquistarlo. L’uomo lasciava i suoi occhi aperti per evitare che qualcuno
lo disturbasse. In realtà avrebbe anche potuto chiuderli. In quel momento non
gli servivano. Sembrava pensare a qualcosa Ma era solo la maschera del suo volto immobile
a farmelo supporre. Forse aveva finito i pensieri e stava solo e semplicemente
continuando a vivere. Da dove veniva quell’uomo insignificante? Quell’uomo che
sembrava aver esaurito il suo compito su questa terra, se mai ne avesse avuto
uno, e se ne stava lì inoperoso solo perché non era ancora arrivato il momento
di salutare questo strano mondo, in cui un giorno, senza un ma e un perché, si
era trovato ad esserci. Era quel
genere di persona che sembra non aver avuto un passato, che non si riesce ad
immaginare più giovane, o addirittura bambino. Quella che fino a quel giorno
era stata la sua esistenza aveva scolpito lentamente negli anni, come fa
l’acqua con la roccia, quella statuina umana che ora era diventato, ma
l’impressione era che il Creatore di tutte le cose l’avesse forgiato egli
stesso con il fango, come Adamo, con quella forma. Che fosse stato sempre così,
fin dal suo primo respiro. Eppure, quell’omino, tanto tempo prima, era stato
una cellula.
Più esattamente uno zigote. Se
oggi era lì, seduto su quella panchina a fare nulla, era perché, anni prima,
uno dei tanti spermatozoi di suo padre era riuscito ad entrare in un ovulo di
sua madre. Era perché anche lui, come tutti gli altri, dal più importante al
più miserabile di questa terra aveva avuto dei genitori. Era perché un giorno,
un uomo e una donna si erano, chissà come, conosciuti. Pensai che mi sarebbe
piaciuto sapere esattamente il giorno e l’ora esatta in cui ciò avvenne. Mi
sarebbe piaciuto sapere tutto. Che giorno della settimana era, che tempo
faceva, come erano vestiti, dove si trovavano, cosa stavano facendo nel preciso
momento in cui, le persone che furono la causa della presenza di quell’uomo,
quel giorno di tanto tempo dopo, seduto su quella panchina, si videro per la
prima volta. E poi, cosa li fece innamorare, quando e come iniziò e si svolse
il corteggiamento. Quando si diedero il primo bacio. Quando avvenne il rapporto
sessuale causa dello zigote che, quel giorno di tanto tempo dopo, era diventato
un banale omino. Pensai che sarebbe stato ancora più bello poter rivedere
tutto. Se il Creatore si fosse preso l’impegno di filmare tutto, dalla nascita
alla morte, di qualsiasi essere umano. Se esistesse un archivio a cui poter
accedere e vedere l’esatto momento in cui l’uomo della panchina usciva dal
grembo della mamma. E l’espressione dei volti della madre e del padre. E lo
stesso si potesse vedere dei genitori dei genitori e dei genitori dei genitori
dei genitori, andando a ritroso nei secoli dei secoli. Se quell’uomo fosse
rimasto l’unico della sua famiglia, nessuno tranne lui conoscerebbe la sua
storia e, una volta morto, sarebbe come se non fosse mai esistito. A meno che
non avesse lasciato qualcosa, una qualsiasi cosa, che gli fosse sopravvissuta e
avesse portato il suo nome. Quell’uomo non aveva l’aria di aver fatto qualcosa
di memorabile o comunque degno di essere ricordato, se non avere accettato il
suo destino senza dare troppo disturbo al prossimo. Cosa molto più meritoria di
tante stupide imprese per le quali alcuni uomini sono ricordati, ma non
abbastanza riconosciuta dai suoi simili per evitare che il suo nome, e la sua
stessa esistenza, venissero un giorno completamente dimenticati e cancellati
dal tempo. Come sarebbe bello potere rivedere tutto. Osservare, come in un
documentario, un australopiteco alle prese con la vita di tutti i giorni,
oppure una vera battaglia dell’esercito dell’antica Roma. Avvenimenti grandi e
piccoli. Momenti quotidiani di gente famosa e sconosciuta. Poter rivedere e
sentire la voce di un nostro progenitore del 700. Vedere come viveva. Vedere la
vita del Re Sole senza leggerla sui libri. Vedere e poter sentire com’era la
sua voce. Vedere e sentire la voce di un lanzichenecco, di un longobardo, di un
unno, di un popolano del 300 e scoprire che erano molto diversi da come ce li
hanno raccontati. Come avrei voluto ascoltare la storia di quell’uomo banale.
Avrei sperato che fosse la più noiosa possibile. Avrei voluto che fosse
tranquilla come appariva lui ora. Stanco di conoscere le storie e le avventure
inverosimili della televisione, avrei voluto ascoltare una storia normale, come
la mia. Se quell’uomo me l’avesse raccontata avrei capito che a nessuno è
riservato il privilegio di una vita normale. Che per quanto tu ti sforzi di
aggirarla o di addolcirla, prima o poi, è sempre in agguato il caso o il
destino (ognuno lo chiami come vuole) a causare il danno irreparabile che ti
costringe a cambiare, a cambiarti, ad adeguarti, ad aggiustare il tiro, a
rivedere i tuoi obiettivi, a diventare altro da ciò che saresti diventato senza
quel danno. Come se un masso ostruisca all’improvviso il sentiero che stavi
percorrendo e ti impedisca di continuare il percorso che ti eri prefissato, di
raggiungere la meta desiderata. Ti costringa a cambiare itinerario, a non
essere più chi eri fin o a quel momento, a modificarti un po’ alla volta fino a
diventare la somma degli imprevisti che hanno incrociato la tua strada come
asteroidi impazziti, come una pioggia di bombe sganciate da un pilota cieco.
Puoi ritenerti fortunato se nessuno di questi imprevisti ti uccide sul colpo,
ma nonostante questo non riesci più a sorridere come prima e quando ci provi
sulle tue labbra prende forma una smorfia crudele. Nessuna vita è normale,
neppure la più stupida. Neppure la mia.
Mi rendo conto che desidero
conoscere la vita di un altro ma conosco
ben poco la mia. Anche lei non è stata e non è una vita normale, ma il fatto
che sia la mia vita mi impedisce di essere abbastanza obiettivo da
riconoscerlo. Per questo voglio sapere tutto della vita di un altro. Per
confrontarla con la mia o meglio per
vederla addosso a un altro e vedere com’è, evitando così di farmi influenzare
dal fatto che riguardi direttamente me. E’ per questo che siamo pettegoli. Non
potendoci guardare continuamente allo specchio, cerchiamo negli altri i nostri
difetti, le nostre grame vite. Se fossi
io a raccontare la mia storia a quell’uomo seduto sulla panchina? Se riuscissi
poi a stare ad ascoltare la sua
versione dei miei fatti? Chissà
quante cose scoprirei. Mi si rivelerebbero verità talmente giganti e vicine a
me che dal mio punto di vista mi era impossibile vedere, come non vedi la
montagna se ti trovi alle sue pendici. Ma avrebbe avuto voglia di ascoltarmi
davvero? I preti nel confessionale lo fanno per dovere. Gli psicoterapeuti lo
fanno per vivere.
Forse lui lo avrebbe fatto solo
per cortesia. Anche se non avrei mai avuto il coraggio di rivolgergli la
parola, l’omino dalla carne che sembrava scolpita nella pietra, me ne tolse la
possibilità, alzandosi dalla panchina e incamminandosi verso la sua meta,
qualunque fosse. Come avrei voluto seguirlo e scoprire qualcosa in più! Possibilmente
tutto, visto che non sapevo praticamente nulla. Ma come avrei fatto a non
essere notato da lui? Impossibile. Forse a questo serve il corpo che il
Creatore ci ha dato. A impedirci di nasconderci facilmente.
3 commenti:
Di quasi prima mattina ho divorato tutto il post, appetitoso più di una prima colazione.
Hai esposto domande, considerazioni, ipotesi, curiosità, che sono le stesse mie e, probabilmente, di chiunque abbia il dono dell'intelletto.
E lo voglia, e sappia, usare.
In fondo è vero: ciascuno di noi è 'un tutto' immerso in 'un niente'.
È stato detto, molto opportunamente, d'un libro tedesco: «Es läßt sich nicht lesen», e cioè che esso non si lascia leggere. Vi sono, di fatto, dei segreti che non consentono a rivelarsi. Taluni uomini muoiono, a notte, nel loro letto, torcendo le mani agli spettri cui si confessano e riguardandoli pietosamente coi loro occhi smarriti... e v'è chi muore disperato con la gola strozzata dalle convulsioni per l'orrore dei misteri che non vogliono svelarsi. Troppo spesso, ahimè, l'umana coscienza porta con sé un tale fardello d'orrore che non riesce a sbarazzarsene se non nella tomba. E in tal modo, l'essenza di tutti i delitti rimane impenetrabile.
La tua ammiratrice:
non ho parole,bellissimo.............
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