Il
selvaggio incontrò lo sguardo di un altro selvaggio e l’uomo non fu più libero.
Smise di pensare solo al suo giusto o sbagliato e iniziò a pensare a ciò che
l’altro selvaggio riteneva giusto o sbagliato. Avrebbe anche potuto considerare
del tutto ininfluente il giudizio dell’altro, ma non fu così. Non poteva essere
così. Perché l’altro c’era. Era lì e lo osservava. Presto o tardi, che egli lo
volesse o no, ci avrebbe avuto a che fare. Era importante quindi sapere anche
la sua opinione. Perché se le due opinioni avessero coinciso, tutto sarebbe
stato più facile. In caso contrario era un problema da risolvere. Quando l’uomo
incontrò lo sguardo di un altro uomo, capì che avrebbe dovuto imparare a
mentire. E per mentire in modo migliore scoprì la parola. Con la parola poteva
dissimulare meglio. Poteva distrarre lo sguardo dell’altro dal suo. Evitare che
lo sguardo rivelasse la bugia della lingua. La civiltà contrabbandò la parola
come mezzo di comunicazione, sapendo bene che era, al contrario, il metodo migliore
per nascondere il proprio pensiero agli altri. Iniziò il teatro. Si inventarono
le maschere. Poi non furono più necessarie. Si imparò anche a fingere con lo
sguardo. Essere e apparire diventò la stessa cosa. Infine l’essere fu
dimenticato e rimase solo l’apparenza.
Siamo
diventati ciò che gli altri pensano di noi. Ci siamo persi per sempre.
“Perché
cercare la nostra felicità nell’opinione degli altri quando possiamo trovarla
in noi stessi?”.
“Come
sarebbe dolce vivere tra di noi, se l’atteggiamento esteriore fosse sempre l’immagine
delle disposizioni del cuore; se il decoro fosse la virtù; se le nostre massime
ci servissero da regole; se la vera filosofia fosse inseparabile dal titolo di
filosofo!”.
“Il
selvaggio vive in se stesso, mentre l’uomo socievole, sempre fuori di sé, sa
invece vivere soltanto dell’opinione degli altri ed è, per così dire, soltanto
dal loro giudizio che egli trae il sentimento della propria esistenza”.
Il
solitario, come me, è percepito come un selvaggio perché non vuole essere
proprietà degli altri.
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