lunedì 25 febbraio 2013

LE DIECI MADRI


Il mare respira. Inspira e gonfia le onde. Espira e scioglie le onde. Inspira e risucchia la schiuma. Espira  e la rigetta a riva. Il respiro del mare è pesante. Un rombo sordo. Un boato soffocato, ma calmo. Lo senti dentro e diventa il tuo respiro. Ti accarezza i pensieri quando attorno è solo silenzio e  la notte e il vento fresco ti invitano a rimanere sveglio quando tutti dormono. Tutti tranne te e il mondo che non dorme mai e ti viene voglia di parlargli, di fargli mille domande. Invece rimani muto ad ascoltare il suo silenzio. Io ho sempre amato il silenzio. Anche il suono della mia voce mentre parlo m’infastidisce.  Ma quella notte il mare era calmo. Tratteneva il fiato per loro. Per accoglierli meglio. Uscirono dalle loro madri e strisciando nel buio raggiunsero la battigia. Erano una moltitudine e presto accadde ciò che in tutte le moltitudini accade. Si divisero in gruppi e presero direzioni diverse. E quando le moltitudini si organizzano in gruppi qualcuno rimane sempre escluso. C'è sempre il solitario che non si decide e rimane solo. Che non sa neppure che direzione prendere e rimane fermo. E' l'unico ad accorgersi quanto sia inutile seguire un gruppo o scegliere una direzione quando una sola ed inevitabile è la meta. Il mare. Anch'io quella notte ero solo e immobile. Mi era talmente chiara l'inutilità mia e del cosmo che nessuno dei miei muscoli compiva un minimo movimento volontario. Ero solo polmoni che si riempivano e si svuotavano, occhi che guardavano. Mi sforzai di fermare il flusso dei miei pensieri.  Li supplicai di zittirsi per qualche minuto. Inutilmente. Mi piegai sulle ginocchia. Aprii la mano e quel minuscolo essere solitario si trasferì dalla sabbia umida della spiaggia al mio palmo. Subito mi alzai lasciando che esplorasse le mie dita. Poi si rannicchiò tra il pollice e la linea della vita. Nessuno dei suoi simili era mai stato così in alto e così lontano dall'acqua. Lo guardai e avrei voluto che lui facesse altrettanto, ma mi accorsi che non aveva occhi. Era nero, lungo non più di tre centimetri. Lo accarezzai con un dito. La sua pelle sembrava di gomma dura. Come una specie di corazza. Un'estremità era più grossa e arrotondata, l'altra più piccola e appuntita. Facevano pensare ad una testa e ad una coda, ma avrebbe anche potuto essere il contrario. Non mancavano solo gli occhi, ma anche la bocca, gli arti, tutto. Era una virgola nera. Poteva essere  uno strano neonato di qualche strano pesce o un gigantesco spermatozoo. Poteva essere tutto. L'inizio o la fine di qualcosa. Pensai alle conseguenze del mio gesto. Lo restituii al mare che lo accolse delicatamente col respiro di un'onda. Sarebbero trascorsi forse mille anni e i testi sacri di quel popolo dalla pelle dura avrebbero parlato del loro Messia. Qualcuno di loro avrebbe raccontato di averlo visto ascendere al Cielo, nel primo giorno, anzi la prima notte della Creazione. Qualcuno avrebbe riferito le sue parole piene di saggezza. Lui che veniva dall'alto dei Cieli e aveva potuto vedere e capire avrebbe cercato di spiegare la Verità. Ma pochi avrebbero capito. Lo avrebbero scambiato per Dio ma lui sapeva che il mistero della Creazione sarebbe rimasto tale per sempre. Che persino le loro madri erano rimaste mute nell'ombra senza nessun messaggio. Lui si sarebbe sentito il prescelto, il fortunato. Il diverso dagli altri. Perché quella notte non si unì a nessun gruppo. Predestinazione o gioco causale della risacca? Perché solo lui poté vedere le cose dall'alto e capire che tutto era inutile e senza spiegazione. Ma un giorno, nonostante questo, sarebbe morto anche lui come tutti gli altri. Qualcuno, rileggendo il suo messaggio,  penserà allora che i messaggi privi di speranza non sono utili al popolo e dividerà il vero dalla Verità. E se io non fossi stato lì, quella notte? Se non fossi intervenuto? Se il piccolo essere non fosse riuscito a raggiungere il mare? Facevo parte anch'io del disegno? Potevo essere io il loro Dio? Ma potrebbe esistere un Dio inconsapevole o peggio ancora casuale. Sarebbe ancora più tremendo. Mi voltai a guardare la Madri, in fondo alla spiaggia, quasi completamente sommerse dalla sabbia. Erano tutte morte di parto. Squarciate. Ne contai una decina. Una accanto all'altra. Avevano assolto un compito o erano morte inutilmente?
Non sarei più tornato in quella spiaggia. Nè di notte, nè di giorno. Mi faceva paura e non volevo che qualcuno del posto mi riconoscesse. Anche se fosse accaduto che cosa dovevo temere? Non avevo commesso nessun delitto. Quegli strani pensieri erano solo miei. Chi mai poteva sospettare, come invece temevo io, che  il mio gesto avesse inquinato un'epopea teologica o un'epica mitologica? E, nel caso, quale condanna poteva esserci per un reato simile?
Quando passavo di lì, con la mia nipotina ed il suo cagnolino, cercavo di distrarmi con loro. Gli zii ed i cani sono i migliori amici delle bambine, ma le mani delle bambine di cinque anni non sanno tenere il guinzaglio di un meticcio attirato dall'odore di una potenziale compagna. Una sua simile giocava a rincorrere e a sfuggire il bordo estremo dell'onda proprio là, in quel tratto di spiaggia. Che non era una bella spiaggia. Per nulla. Era piccola e sporca. Un angolo di sabbia e pietre risparmiato, chissà perchè, al cemento. Una triste e dimenticata fetta di terra di una città di mare. Strinsi la mano della bambina e corremmo insieme a riprenderci il cane. Lui corse subito da noi. Mi ritrovavo quasi nello stesso punto di quella notte. Tutto era molto diverso. La notte rende magica anche una discarica di rifiuti. Il cagnolino ci aveva riportato qualcosa. Ringhiava e stringeva tra i denti la sua preda. Un piccolo uccello o forse un pesciolino. Lo depositò trionfante ai miei piedi e riconobbi uno di quegli esserini. Avrei preferito di essermela sognata quella notte ed invece quella era la prova che tutto era accaduto realmente. Le madri però erano sparite. Là, dove le avevo viste, solo qualche rottame e bottiglie vuote. La mia nipotina contò fino a dieci. 
"Che stai contando?"
"Le ruote. Ci sono dieci ruote qui. Ma sono rotte."
Non erano esattamente ruote. Solo vecchi pneumatici che il sole, il vento e la salsedine stavano lentamente sgretolando in piccoli pezzetti come quello riportatoci dal cagnolino. Ce n'erano altri qua e là. Alcuni anche nel bagnasciuga. Le Dieci Madri, da cui erano nati i capostipiti delle dieci tribù del popolo eletto del mare, di giorno si trasformavano in vecchi pneumatici consumati affinchè la razza umana non sapesse e non distruggesse anche loro, come faceva da sempre con tutto ciò con cui veniva a contatto. Così avrebbe pensato un pazzo e così avrei voluto pensare io. Ma non potevo. Sfortunatamente non ero pazzo e non potevo non essere sicuro che quello che vedevo erano solo pezzi di gomma neri su una spiaggia dimenticata.  Una cosa però la potevo fare. Potevo credere.
Potevo credere che le cose stavano esattamente così. Come me le ero immaginate. Nessuno me lo poteva impedire. Neppure le dieci gomme che avevo sotto gli occhi. Non sempre la luce svela. La luce del giorno può anche accecare e nascondere. Non sempre il buio copre. A volte svela ciò che alla luce è impossibile vedere. Oppure esistono due modi diversi di vedere le cose. Entrambi validi. E nessuno mi può impedire di sceglierne uno. Tra mille anni quella spiaggia non ci sarà più. Oppure ci sarà ancora e sarà meta di pellegrinaggi. Sicuramente non ci saranno più i pneumatici e i loro brandelli disseminati sulla spiaggia.
Proabilmente ci sarà ancora il mare che li ha accolti. Ma il mare, saggiamente, si limita a respirare. Inspirare. Espirare. Le sue onde catturano e ributtano sulla sabbia conchiglie, pesci, alghe, pezzi di gomma o cadaveri con la stessa indifferenza. Perchè il mare non ha bisogno di credere in nulla. Il mare non ha paura di morire.



3 commenti:

gattonero ha detto...

Passerò per deficiente, ma lo dico ugualmente: mi sono commosso, ho inspirato ed espirato lentamente insieme al mare, col mare ho seguito una storia di nascite, morti, resurrezioni; forse era davvero un gigantesco spermatozoo quello che hai inserito nel mare, come se il palmo della tua mano avesse copulato con lui.
E tutto il resto.
Lo rileggerò ancora, ancora più lentamente, è un brano di poesia che porta pensieri amaramente dolci, sia nel silenzio della notte che nello scintillar del sole.
Oltre tutto ciò, ha allontanato per qualche minuto dagli occhi e dalla testa gli accadimenti odierni, che questa lettura ha reso particolarmente ridicoli, pur sapendo bene la loro importanza.
Ciao, Lorè, grazie.

Pierluigi ha detto...

?
(il commento non è rivolto a te; è solamente un atto dovuto)

fracatz ha detto...

..ci sarà pure un motivo per il quale sto cazzo di mare continua a respirare...
leggendo mi son chiesto
e se invece di respirare lui lo avesse progettato sol per scorreggiare?
ci sarebbe stata nascita, evoluzione o solo orrendo fragor di cascata delle menti?
Mai lo sapremo